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martedì 29 novembre 2016

Referendum costituzionale 4 dicembre.

Sui maggiori quotidiani nazionali è scattata l'ora del terrorismo psicologico per convincere gli italiani a votare a favore delle tesi della finanza europea. Gli argomenti sono i soliti: le borse in picchiata, alcune banche rischiano il tracollo in caso di vittoria dei difensori dell'attuale Costituzione, lo spread, che sembrava in letargo, tutto ad un tratto si è svegliato ed è schizzato in avanti. Insomma la finanza europea, avversaria della nostra Costituzione, tenta affannosamente a incutere paura agli italiani puntando dritto al cuore delle loro tasche. Almeno un dato, adesso, appare certo, inutile girarci intorno, la finanza europea esce allo scoperto e proclama guerra alla nostra Costituzione e con essa agli italiani, o almeno a quella parte di italiani che ha deciso di mantenerla così come è.
Il 4 dicembre si giocano tante partite in una sola partita e una di queste è quella di sottrarsi al becero e riottoso terrorismo psicologico che, artatamente, si manifesta e prende corpo con una puntualità invidiabile.
Il 4 dicembre andiamo tutti a votare con la nostra testa, liberi da offensive oscurantiste; il 4 dicembre andiamo a votare da uomini e donne liberi, liberi di scegliere il proprio futuro.

sabato 6 settembre 2014

Dalla necessità di cambiare, alla costruzione di una società a dimensione umana.

Le notizie che vorrebbero i Paesi della comunità europea in crescente deflazione impongono certamente delle riflessioni e soprattutto l’individuazione di un’uscita di sicurezza da una situazione di stato economico di sicuro tracollo. Da qui la necessità di individuare un nuovo percorso partendo dalla considerazione che sempre più esigue sono le espressioni individuali ovvero di gruppo capaci di generare lavoro collettivo.
La deflazione, in questa fase, dovrebbe essere vista come un momento salvifico per far cambiare rotta a un’economia deficitaria, la quale, se dovesse continuare nella stessa direzione condurrebbe a una spirale di declino e di dissolvimento della nostra comunità.
Il fenomeno deflativo che sta iniziando a pervadere la nostra società impone la nascita di una nuova fase economica che potrebbe essere suddivisa in due periodi. Il primo, segnato da un nuovo modo di interpretare il capitalismo, che definirei “capitalismo ragionato e organizzato”, cioè un capitalismo guidato e cosciente della necessità di superare il carattere spontaneo di tutti i processi economici che sono sotto gli occhi di tutti.
Questa nuova via avrebbe certamente molti nemici in particolare quei tanti pensatori e capitalisti neoliberisti che pensano di non volere altri vincoli se non quelli dettati dal libero mercato. Occorrerebbe, quindi, avviare una fase in cui lo Stato esercitasse un ruolo interventista in economia divenendo esso stesso consumatore dei prodotti nazionali (ad esempio tramite commesse pubbliche) e facendo dello sviluppo industriale uno dei compiti politici di primaria importanza.
È nella seconda fase che si dovrebbe realizzare la vera costruzione di una nuova società, non solo economica ma soprattutto politica. Occorrerebbe che ciascuno Stato, nell’ambito di un progetto politico federativo di stampo europeistico, si riappropriasse della propria sovranità, elargita con troppa facilità; a proposito bene hanno fatto gli inglesi a non concederla, e, proseguendo sui principi fondanti della prima fase, abbracciare un’economia di stampo “comunitarismo democratico” a condizione che si lasci alle spalle le esperienze tremende dei comunismi storici novecenteschi che nulla avevano in comune con le idee espresse da quei filosofi tedeschi, prima Hegel poi Marx che, invece, svilupparono una filosofia innovativa, profonda e articolata tale da rivoluzionare il pensiero filosofico europeo.
Si tratterebbe di declinare l’idea di una comunità umana, composta da individui uniti da rapporti liberi, solidali e all’insegna del riconoscimento reciproco, puntando sull’individuo comunitario ma non su una totalità livellata. Bisognerebbe pensare ad un “comunitarismo” rispettoso dell’individuo e delle differenze, in una comunità umana in cui si è liberi solo se tutti lo sono.
A compimento delle due fasi si aprirebbe una nuova stagione politica, un nuovo modo di pensare la società che non potrebbe non passare dalla necessità di affermare la centralità della persona. I risultati dell’attuale crisi sono essenzialmente dovuti al fatto che si è perso di vista il rapporto essenziale tra economia e persona umana, e ignorato il fatto che l’economia dovrebbe essere al servizio della vita delle persone e della comunità e non, invece, al servizio di pochi potenti, ovvero di quanti hanno trascinato la nostra società sull’orlo del baratro.
Si dovrebbe trarre un profondo insegnamento da ciò che gli ultimi venti anni di vita politica, del nostra comunità sovra e nazionale, della nostra regione, della nostra città, ci hanno lasciato non solo come idea ma anche come sostanza pratica per non commettere gli stessi errori.
L’auspicio è la nascita di una nuova classe dirigente, capace di interpretare questi principi e fondare la propria azione su valori quali insegnare alle nuove generazioni a vivere il senso della propria città, della propria regione, del proprio Stato; a vivere il senso dell’altro ma soprattutto mettendo l’uomo al centro di ogni costruzione sociale, politica ed economica.
Una cosa comunque deve essere chiara, non possiamo non spenderci, tutti insieme, nella costruzione di un dialogo costruttivo affinché la realtà assuma un’altra forma, un’altra dimensione, allo scopo di non consentire che il futuro, come dimensione sociale di progettazione, possa eclissarsi.

martedì 21 agosto 2012

Ha senso oggi parlare di Prometeo ?


Prometeo, il nome (pre-veggente) già ne indica la dote principale. Prometeo previde la sconfitta dei Titani e preferì schierarsi dalla parte di Zeus. Egli, che era il più intelligente dei Titani, aveva assistito alla nascita di Atena dalla testa di Zeus e la dea stessa gli insegnò l'architettura, l'astronomia, la matematica, la medicina, l'arte di lavorare i metalli, l'arte della navigazione e altro ancora e che egli poi, a sua volta, insegnò ai mortali con lo scopo di elevare gli uomini avvicinando la loro essenza a quella degli Dei.

Ma Zeus, che era intento a distruggere il genere umano, s’irritò nel vedere gli uomini diventare sempre più esperti e potenti, perché vedeva nell’affrancamento degli umani una minaccia al suo potere. Prometeo, quindi, assurge a salvatore degli uomini, sottrae agli dei il fuoco, elemento strutturale di civiltà ma Zeus decide di punirlo e di infliggergli un atroce calvario: lo fa incatenare nudo sulla vetta più alta del Caucaso, condannandolo a soffrire il freddo e la fame che aveva voluto risparmiare ai mortali. Ogni giorno un enorme avvoltoio viene a cibarsi del suo immortale fegato che ogni notte si rigenera.

Chi di noi non si sente vicino al benefattore dell’umanità che paga di persona per il bene degli uomini fragili e bisognosi e che non rinuncia, nel calvario eterno, ad un atteggiamento di sfida ? La posizione assunta da Prometeo, è certamente una posizione di eroica dignità di fronte al destino. Nessuno di noi può evitare la fragilità, il dolore, la morte. Tutti ne siamo esposti e, sotto certi aspetti, condannati. Il mito di Prometeo attraversa l’esistenza dell’intera umanità, ma ha ancora senso oggi, nelle attuali moderne società pervase da avanzata tecnologia, parlare di Prometeo e della sua compassione per gli uomini come dallo stesso perseguita ?

Riflettiamo.

domenica 17 giugno 2012

Il Presidente del Consiglio ed i "poteri forti"


Le dichiarazione del nostro Presidente del Consiglio di essere succube dei cosiddetti "poteri forti" mi lascia perplesso. Se un Presidente del Consiglio di qualunque Stato è succube di qualcuno o di qualche organizzazione la cui costituzione si richiama ai "poteri forti" farebbe bene a dimettersi.

Certamente il nostro Presidente del Consiglio saprà che tutti i maldestri tentativi di stabilizzare una qualsiasi economia attraverso la stretta monetaria e fiscale sostenuta magari da ingenti prestiti, non riescono da soli ad arrestare la spirale negativa dell'economia: la storia ne ha dato ampia dimostrazione.

E' opportuno ricordare che nel dicembre del 2001, il governo argentino non potendo più pagare i mutui che contraeva con la FMI dichiarò il default sul suo debito e dopo poche settimane abbandonò l'ancoraggio della valuta al dollaro. Qualche mese fa l'Argentina ha nazionalizzato la compagnia petrolifera “YPF”, la cui maggioranza del capitale era detenuta dalla società petrolifera spagnola “Repsol”.

Sono seguite reazioni indignate da tutto il mondo, specialmente da quei settori che amano politiche economiche neo-liberiste che, se perseguite, porteranno alla distruzione di uno Stato dopo l'altro; a sostegno della scelta del governo argentino di nazionalizzare la compagnia petrolifera “YPF” esistono delle solide ragioni: la sopravvivenza di uno Stato.

In un contesto di grave crisi economica come quella che stiamo attraversando dove tutto dipende da un famigerato numero di "spread" e dove la politica ha lasciato il passo all'economia, occorre che la Politica prenda il sopravvento con nuove elezioni e, quando gli interessi di una qualsiasi impresa privata o di un gruppo di cosiddetti "poteri forti" e quelli della maggioranza della popolazione divergono considerevolmente e il settore è diventato essenziale per attuare politiche economiche fondamentali per la salvezza di uno Stato, il Governo che esce eletto dalle urne e quindi legittimato dal popolo non ha altra scelta che nazionalizzare settori strategici dell'economia, compreso anche quello delle banche e laddove si annidano i "poteri forti", a ridurre fortemente tutti gli sprechi e ad investire sui servizi sociali per favorire l'occupazione.

Riflettiamo.

martedì 1 maggio 2012

1° maggio, Festa dei Lavoratori e del Lavoro che non c'è


Oggi è l’1 maggio, festa dei lavoratori. Questa ricorrenza ci impone una riflessione sull'attuale situazione socio-economica del nostro Paese allo scopo di fare emergere un dibattito sull'individuazione di un percorso politico  che ci potrebbe consentire di avviare la fuoriuscita dalla depressione economica che attanaglia il lavoro, i lavoratori, la società in genere.

Non vi è dubbio, questo 1° maggio è il peggior 1° maggio che ricordi. Manca il lavoro, quindi manca tutto. Non bastano le super intelligenze alla guida del nostro Paese per creare lavoro, queste sono sufficienti ad introdurre ulteriori balzelli che avranno l'effetto di soffocare la crescita.

Il ragionamento che verrà posto si basa, non solo da alcune semplici congetture economiche, ma anche da una rivisitazione storica di alcuni momenti, a mio avviso, fondamentali della storia socio-economica del secolo scorso, nella speranza che almeno la conoscenza del passato possa giovare ad indicare politiche che favoriscano l'occupazione di quanti hanno perso lavoro e di coloro, le nuove generazioni, che il lavoro non l'hanno ancora conosciuto.

Spesso ci si chiede se privatizzare un determinato settore aumenti la competizione, ovvero se la concorrenza tra i soggetti che operano in quel settore determini un calo dei prezzi, agendo in tal modo in favore dei consumatori.

È vero ? In parte ma non sempre.

La competizione portata all'estremo non solo fa calare i prezzi ma abbatte anche la qualità del servizio o della merce. E, specialmente, quando la merce è un genere alimentare, non ne consegue solo uno peggioramento della qualità ma anche un ingente costo, nel tempo, a carico del sistema sanitario, specialmente se questo costo è sostenuto dal sistema pubblico. Pensiamo, ad esempio, a quanto accade negli Stati Uniti d’America dove il sistema sanitario è solo parzialmente pubblico e dove milioni di persone riescono a mangiare con pochi dollari, ma poi in gran parte diventano obesi o diabetici. E dato che normalmente questi soggetti non hanno la polizza sanitaria e arrivano ad essere curati solo quando il loro stato di salute è grave e cronico, il costo di queste malattie diventa altissimo. 

Questa situazione potrebbe essere in qualche misura evitata se il sistema delle regole e dei controlli fosse molto severo, ma noi sappiamo che gli stessi che spingono sulle liberalizzazioni vogliono sempre anche pochi o nulli controlli (salvo quelli a protezione dei loro marchi), in quanto i controlli e i limiti sono sempre visti come un freno alla libera impresa.

Pertanto è già possibile sostenere che per questi settori, cosiddetti “sensibili”, le privatizzazioni è molto meglio evitarle, mentre in altri settori come ad esempio il tecnologico il via alle liberalizzazioni potrebbe avere effetti positivi sul mercato e quindi sull'occupazione.

Ma ci sono anche i casi dove invece sarebbero consigliabili le nazionalizzazioni, soprattutto in una fase di crisi acuta come questa che stiamo vivendo. Il riferimento è ovviamente al settore finanziario e a quello delle banche. Ci si chiede che senso ha sostenere le grandi banche e non prenderne invece direttamente il controllo e offrire il credito ad imprenditori, lavoratori e famiglie ad un tasso di interesse inferiore da quello offerto dalla medesime banche ? Non è pensabile che le banche ottengano il denaro dalle banche centrali ad un tasso di interesse appena sopra all'1% e lo rimettono sul mercato all'8%. La nazionalizzazione delle banche trova già esempi in un passato recente come si vedrà più sotto. La nazionalizzazione delle banche potrebbe costituire un passo decisamente importante verso la ripresa economica del nostro Paese. Un dato è certo: non è l'attuale compagine Governativa indigena composto da banchieri che si può intestare una simile azione.

Vi è la necessità che la Politica, con la P maiuscola, prenda il sopravvento ed abbia la forza di togliere potere al sistema bancario che attanaglia e stritola l'intero sistema Italia. Con la nazionalizzazione delle banche verrebbe evitato il fallimento e, quindi, verrebbe evitata la ricaduta delle conseguenze sul piano sociale ed economico.

Il concetto di nazionalizzazione, in genere, è un argomento politico di destra o di sinistra ?

Alla nazionalizzazione hanno fatto ricorso presidenti di destra. Fu il repubblicano Richard Nixon nel 1971 a varare il salvataggio dell'azienda di armamenti Lockheed trasferendola temporaneamente sotto la tutela pubblica. Negli anni Ottanta Reagan firmò un' analoga nazionalizzazione di Chrysler, Bush padre lo fece con le casse di risparmio in bancarotta (Savings and Loans). Tutte quelle operazioni ebbero un costo assai modesto rispetto ai salvataggi bancari in atto oggi. Ma hanno un elemento in comune. Le nazionalizzazioni americane sono state quasi sempre provvisorie, la risposta a un'emergenza.

Appena possibile il governo ha riprivatizzato quelle aziende. Non fu molto diverso neppure l'atteggiamento di Franklin Delano Roosevelt durante la crisi del ‘29. Benché i suoi avversari lo accusassero di essere un socialista, al contrario era un liberale pragmatico disposto a sperimentare qualsiasi ricetta pur di superare una crisi spaventosa come quella del ’29.

Roosevelt non si ispirò all'Unione Sovietica, ma guardò con interesse all'Italia fascista. Dopo il crac del ‘29 il consigliere di Mussolini, Alberto Beneduce, salvò dal fallimento le maggiori banche italiane con l'ingresso dello Stato nel loro capitale, poi inventò l'Iri (anche queste originariamente dovevano essere soluzioni provvisorie, in realtà in Italia lo Stato padrone durò oltre mezzo secolo).

Roosevelt imboccò la strada delle nazionalizzazioni in modo molto pragmatico, creando la Tennessee Valley Authority. La Tennessee Valley Authority è una società di proprietà federale negli Stati Uniti creata da un atto costitutivo del Congresso nel maggio del 1933 per fornire navigazione, controllo delle piene, produzione di energia elettrica, produzione di fertilizzanti e lo sviluppo economico nella Valle del Tennessee, una regione particolarmente colpita dalla crisi del ‘29. Creando la Tennessee Valley Authority, Roosevelt, diede vita a un'azienda di Stato nell'energia elettrica per spezzare l'oligopolio dei privati e influenzare le tariffe. 

Bisogna andare in Europa per trovare un altro tipo di nazionalizzazione: teorizzata come una soluzione superiore alla proprietà privata; più equa o più efficiente; più conforme a difendere l'interesse nazionale; più benefica per i lavoratori e per i cittadini.

La madre di tutte le nazionalizzazioni è l'esproprio dei beni della Chiesa deciso dalla Rivoluzione francese nel 1789. Con l'avvento del pensiero socialista il ricorso alle nazionalizzazioni diventa sistematico: i bolscevichi in Russia aboliscono la proprietà privata delle terre nel 1917, quella delle banche e dell'industria nel 1918: come voleva Marx, i mezzi di produzione vanno collettivizzati nella dittatura del proletariato (la stessa strada imboccata da Mao Zedong in Cina nel 1949). In Francia lo statalismo ha radici profonde in diverse tradizioni politiche e le nazionalizzazioni sono state bi-partisan: nel 1936 il Fronte Popolare requisì le ferrovie e la nascente industria aeronautica; tra il 1944 e il 1946 Charles De Gaulle espropriò la Renault, le quattro banche principali, il trasporto aereo, le miniere, l'energia elettrica e il gas. L'ultima celebre ondata di nazionalizzazioni fu lanciata dal socialista François Mitterrand nel 1982 e portò sotto il controllo dello Stato tutte le maggiori imprese industriali e bancarie: al termine, nel 1983, il 25% dei lavoratori francesi apparteneva al settore pubblico. In Inghilterra il Labour Party nazionalizzò il carbone nel 1946, l'energia elettrica nel 1947, le ferrovie nel 1948, l'acciaio nel 1967, la Rolls-Royce aeronautica nel 1971 e infine la casa automobilistica British Leyland nel 1976.

Talvolta ci furono le nazionalizzazioni-salvataggio per impedire la scomparsa di aziende moribonde ma ritenute strategiche o socialmente vitali. Altre volte i governi europei (non sempre e soltanto di sinistra) hanno visto nella proprietà pubblica la migliore cura contro le rendite parassitarie nei «monopoli naturali» come l'energia, le telecomunicazioni, i trasporti, la radiotelevisione. Così fu motivata in Italia la creazione dell'Enel e la nazionalizzazione dell'energia elettrica decisa dal primo governo di centro-sinistra nel 1962: l'ente pubblico subentrava a una giungla di oltre mille operatori privati che avevano impoverito il consumatore, creando per di più gravi disparità regionali.

L'ondata delle de-nazionalizzazioni lanciata da Margaret Thatcher nel 1979 non fu solo una svolta ideologica, la conseguenza di un ribaltamento quasi universale nei rapporti di forze tra destra e sinistra. Pesavano altrettanto le innovazioni tecnologiche. In molti settori - cominciando dalle Telecom - divenne obsoleto il concetto di "monopolio naturale". I progressi di efficienza erano agevolati dalla competizione fra attori privati.

In qualche caso l'azionista pubblico ha resistito con buoni risultati: la Francia non avrebbe una leadership mondiale nell'energia nucleare e nell'alta velocità ferroviaria, se quei settori fossero stati risucchiati nella logica del profitto di breve periodo che caratterizza le società private. La proprietà pubblica però non è sempre una garanzia, né per il contribuente né per il consumatore: proprio in Francia uno dei più gravi scandali finanziari dal dopoguerra ha avuto come protagonista il Crédit Lyonnais quando era di pubblico. infatti a partire dal 1988 l'istituto di credito divenne il centro di diverse speculazioni finanziarie, fino allo scoperto che lo pose in bancarotta nel 1993 a causa del finanziamento non rientrato rivolto all'acquisto della MGM da parte di Giancarlo Parretti.

Quali conclusioni da rassegnare alle nostre riflessioni. Vi sono dei settori cosiddetti “sensibili” che è un bene per i cittadini che restino in mano pubblica, altri settori la cui privatizzazione potrebbe portare dei benefici ai cittadini in termini di crescita dell’occupazione ed altri settori come quello delle banche che, in condizioni straordinarie, come quelle attuali che stiamo vivendo, devono essere urgentemente nazionalizzate e gestite direttamente dallo Stato. Lo Stato deve subentrare agli azionisti privati per scongiurare fallimenti che possono minacciare la sicurezza nazionale o creare danni sociali insopportabili. Cessata la straordinarietà della crisi e consolidato un nuovo ordine sociale, si può tornare alla situazione ante recessione ma con un nuovo sistema finanziario, certamente, meno speculativo dell'attuale.

Ovviamente in tutti i casi vi è la necessità di un sistema di regole e di controlli molto severo, quel sistema di regole e di controlli che attualmente non esiste e soprattutto necessitano uomini di enorme spessore etico che pongono l'interesse dello Stato al di sopra di quello personale.

Personalmente sono assolutamente contrario alla pena di morte, ma sono altrettanto contrario all'impunità per tutti quelli che rubano protetti dalla mancanza di regole che serve solo per rubare di più.

Riflettiamo.